Glam Slam

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130

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105

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Nel caso di Maria Sharapova tutto fa scena, e anche parecchia. Le gambe lunghe, certo, ma c’è di più. C’è il servizio, c’è il rovescio lungolinea. E c’è soprattutto quel suo schiaffo al volo che l’ha resa vincente quanto avvenente. Operazione mica facile. Masha, scritta così per crasi tennistica, è il simbolo algido di un fascino che supera sia lo spazio sia il tempo. Praticamente una bond girl, anzi blond. Brava a rintracciare le missioni, persino quelle segrete, fenomenale nel mandarle all’aria. Il suo è un percorso che fa pensare ai pallonetti alzati per disperazione: non sempre la vita è dolce. Ha cominciato dando schiaffi alla miseria, la sua, ha finito quando si è resa conto che gli schiaffi erano diventati miseri, i suoi. Molto meno fragorosi di una volta. Anche per colpa di una spalla messa male. Ricapitolando: dagli inizi in bolletta, soldi pochi, ai primi passi da Bollettieri. Dalla Siberia alla Florida, passando per Mosca, più avanti, e finendo in California. Ecco le coordinate sballottate di una top model/player fenomenale nel lastricare di caramello la sua porzione di campo. La ragazza dal viso di porcellana, portentosa nella gestione degli affari, in carriera è riuscita a moltiplicare tutto quello che ha colpito. Giocando con la sua immagine, frequentando Harvard per affinare le sue conoscenze, persino producendo caramelle. Molto glam senza dimenticare gli Slam. Il dritto al volo col marchio registrato è la soluzione che ha preso il suo tennis e l’ha portato fuori dallo spartito. I primi li ha giocati che era ancora una bambina, scottata dal fuoco sacro della Navratilova e omaggiata della racchetta di Kafelnikov. Una soluzione che MS giocava in maniera perfida, quasi infastidita dall’idea che potesse non risultare decisiva. Si metteva di traverso, nel suo tragitto verso la rete, con la testa rivolta in alto. E con la luna al solito posto, che mai gli è sembrata strana. Una guancia da dividere in quattro, così da colpirla al centro, prima di assestare la botta, a mano aperta. Più semplicemente una biglia da percuotere, che scendendo diventava più grossa. Per tirare giù il mondo spaccando un vaso di paure e cattiverie assortite, tutte profondamente agonistiche, prima di spedire baci al miele volteggiando la coda da bionda atomica. Maria all’opera era una gazzella predatrice, ossimoro sportivo, con lo sguardo blu fisso sulla palla gialla. Delicata che si poteva rovinare ma tosta che poteva rovinarti. Così bella da togliere fiato e aggiungere ansia. Attraversata da un mistero fitto che l’ha resa, nel tempo, una Barbie di porcellana via via più cattivella.